Stati Generali dei Presidi italiani: problematiche e soluzioni per la piccola produzione agroalimentare italiana
14 May 2005 | Italian
Nel secondo giorno degli Stati Generali dei Presidi italiani si entra nel merito della discussione. Si sono svolti nella mattinata diversi seminari specifici, che hanno visto i partecipanti dividersi tra diverse splendide località nei Monti Nebrodi in Sicilia.
A San Marco d’Alunzio, nella Chiesa Madre, si è svolto il dibattito intitolato “Le normative igienico sanitarie per i piccoli artigiani spesso sono un problema: come produrre nel rispetto della legge?”
“Non voglio sembrare blasfemo, e meno che mai in questo luogo, ma qui se ne esce solo con l’aiuto del Padreterno!”. Il dibattito ha preso l’avvio con questa invocazione laica da parte di Giuseppe Licitra del Corfilac di Ragusa, a confronto con Franco Ottaviani (tecnologo della Coop), Luca Nicolandi, veterinario, e i rappresentanti dei presidi. Grandi assenti i rappresentanti del Ministero della Sanità, per problemi legati allo sciopero dei trasporti di ieri: un’occasione di chiarezza persa, per questi ultimi, dato che il centro del problema non ha tardato ad essere identificato nel rapporto tra produttori e istituzioni di controllo.
Con il coordinamento di Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità, Nicolandi, ha per primo posto l’accento sul fatto che spesso le norme non sono sufficientemente conosciute dai produttori e che la situazione è decisamente migliore di come viene dipinta. Licitra ha risposto dicendo che sarà pur vero che le norme sono semplici e prevedono le deroghe per i prodotti della tradizione, ma “la tragedia” sta nel potere interpretativo dei funzionari ministeriali e dei veterinari delle ASL addetti al controllo: il disequilibrio di potere tra produttore e funzionario pubblico mette di fatto il primo in condizione di subalternità. Gli interventi successivi, da Leo Bertozzi presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano a Massimo Spigaroli del Consorzio del Culatello di Zibello, da Gianpaolo Gaiarin direttore tecnico di Trentingrana a Daniela Franchina del Presidio dell’Asino Ragusano, da Fabio Lombardi del Presidio del Conciato Romano, fino a Fausto Guadagni del Lardo di Colonnata, hanno confermato questa realtà divisa tra situazioni altamente positive in cui i produttori sono riusciti ad unirsi e a lavorare di concerto con le istituzioni di controllo e invece situazioni di estremo disagio in cui il potere dei veterinari assume a volte sfumature vessatorie. La soluzione sta nella formazione, sia per i controllori che per i controllati, e nell’educazione al dialogo e al rispetto dell’altro, con il fine comune di proteggere i sistemi di produzione tradizionali nell’ambito delle garanzie dovute al consumatore.
Si è parlato di ortofrutta invece a Mirto, nel Palazzo Cupane: “La commercializzazione delle produzioni ortofrutticole: insieme è meglio”. Cristiana Peano del Dipartimento di Colture Arboree – Facoltà di Agraria dell’Università di Torino – ha individuato come prioritaria la necessità di creare canali di commercializzazione basati sul rapporto tra produttori e consumatori, attraverso gruppi d’acquisto che si adeguino agilmente a seconda del tipo di pubblico cui si rivolgono.
Paolo Rapisarda, dell’Istituto sperimentale per l’Agrumicoltura di Aci Reale, ha messo l’accento sull’importanza del marketing territoriale, mentre un produttore di Ciaculli ha replicato denunciando il ruolo degli intermediari che creano squilibri nella filiera di commercializzazione.
Giuseppe Barbera dell’Università di Palermo ha insistito invece sulla necessità di valorizzare il paesaggio agrario: gli agrumeti, come altre colture tradizionali, sono da tutelare per la valenza paesaggistica: “Sarebbe utile creare una forma di Presidio trasversale che abbia come principale funzione quella di salvaguardare prodotti che sono anche l’essenza di splendidi paesaggi storici e la nobiltà dell’ortofrutta italiana.”
Dalla discussione è inoltre emersa la richiesta di modificare i regolamenti di commercializzazione codificati dalle norme comunitarie, che impongono dimensioni e calibri impossibili da rispettare per le varietà meno diffuse all’interno della grande distribuzione.
“La piccola pesca, sottocosta o di laguna: un modello di sviluppo, tra consumo e imprenditoria, per le piccole comunità” si è svolto a Castell’Umberto, nella Chiesa di Santa Barbara a Castanea. La discussione si è aperta nella prospettiva del prossimo Slow Fish, in previsione a Genova il prossimo novembre. Silvio Greco, dell’ICRAM, Istituto centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologia Applicata al Mare, ha ribadito l’importanza della piccola pesca per difendere la biodiversità nei mari ma anche l’identità culturale dei territori legati a questa attività. La proposta che è stata lanciata è quella della creazione di un Atlante delle zone costiere dove viene praticata la pesca tradizionale, e dell’istituzione di Presidi legati non tanto al prodotto ittico, quanto alla tecnica utilizzata, che spesso, oltre a essere testimonianza storica di cultura materiale, è anche l’unico strumento ancora proponibile per mettere un freno all’impoverimento e al saccheggio dei nostri mari.
Change the world through food
Learn how you can restore ecosystems, communities and your own health with our RegenerAction Toolkit.