Dall’Africa, una dichiarazione di indipendenza

28 Oct 2012 | Italian

Poche ore dopo l’apertura del Salone del Gusto e Terra Madre, si è levata dal Lingotto una dichiarazione di indipendenza. Gastronomica, innanzi tutto.

La conferenza “L’Africa degli Africani” ha presentato al pubblico una nuova prospettiva di sviluppo per il continente africano, lontana dagli stereotipi che hanno dominato l’immaginario collettivo occidentale negli ultimi decenni “ Negli anni ’70 e ’80 si parlava dell’Africa solo quando erano in gioco guerre particolarmente sanguinose, malattie o carestie” conferma il direttore de La Stampa, Mario Calabresi. “I cittadini oggi esigono un approccio diverso: l’anno scorso abbiamo dedicato un numero all’Africa e alle sue opportunità ed diventato il numero più venduto degli ultimi cinque anni!”.

“L’Africa è un continente ricco di risorse e di bellezza” ha esordito John Kariuki, vicepresidente di Slow Food. “Dobbiamo essere fieri delle nostre tradizioni, impegnarci insieme per difendere le nostre terre, i nostri semi”. “Nel momento in cui hanno portato in Africa altri cibi, dei prodotti che nulla hanno a che vedere con il clima e la cultura locale”- continua Edward Mukiibi, che coordina in Uganda il progetto dei Mille orti in Africa [http://www.fondazioneslowfood.it/pagine/ita/orti/cerca.lasso?-id_pg=30] – “Siamo stati colonizzati una seconda volta. La terra è nostra, appartiene a noi, dobbiamo credere nell’Africa, difendere con orgoglio la nostra indipendenza gastronomica”.

“Tornare all’identità locale è la più grande rivoluzione possibile” – ha fatto eco Abdon Manga, cuoco della Guinea Bissau, che ha rivoluzionato il suo ristorante alcuni anni fa, dopo la prima partecipazione a Terra Madre. “Oggi al mio tavolo non si trova neanche un menu: parlo con il cliente, gli propongo i prodotti più freschi e li combino nelle ricette tradizionali, a volte un po’ rivisitate, la cucina del mio Paese a volte è un po’ pesante!”.

In Kenya, la valorizzazione dei prodotti locali è anche al centro delle attività che Padre Kizito, direttore del mensile Nigrizia, porta avanti da 20 anni con i bambini di strada. “A Nairobi vivono in strada tra 100.000 e 150.000 bambini” – ha rivelato. “Vivono esperienze molto dure, assumono droga e crescono tra i disagi. Le attività quotidiane di cura dell’orto, il piacere di vedere crescere il proprio cibo sono di grande aiuto per riportare queste creature a una vita serena”.

In Sud Africa, secondo la testimonianza di Sithandiwe Yeni, coordinatrice nazionale del progetto Mille orti, la difficoltà più grande è quella dell’accesso alla terra: “Lavoriamo in un contesto drammatico ostile, l’80% della terra fertile è di proprietà di pochi bianchi che con l’apartheid hanno ereditato una posizione di vantaggio e hanno un accesso facilitato al credito e ai terreni”.

Qual è il ruolo dei Paesi occidentali? Per Carlo Petrini, che ha salutato il pubblico in apertura, la risposta è solo una: “restituzione”.

“Dopo lo schiavismo e il colonialismo, anche quello gastronomico, non possiamo intervenire con aiuti di tipo umanitario, dobbiamo garantire una cosa sola: la restituzione. E saranno gli Africani a indicarci il modo di restituire ciò che è stato depredato”.

“Cari amici africani” – ha concluso il presidente internazionale di Slow Food apostrofando la sala – “Possiamo costruire insieme gli orti, lavorare con voi per sviluppare le denominazioni di origine, ma noi possiamo solo restituire: il timone, tenetelo in mano voi.”

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