Da una parte la cerimonia di premiazione dei Tre Bicchieri con Carlo Petrini, presidente internazionale di Slow Food, che ha ricordato come nell’arco degli ultimi vent’anni siano stati fatti grandi passi avanti in campo enologico, sia per quel che riguarda la qualità, sia per la diffusione e la commercializzazione. Conciliare la tradizione contadina e le strategie di marketing si è rivelata una mossa vincente che ha rilanciato il mondo del vino dopo un periodo di gravissima crisi, ma ora l’importante è che i produttori mantengano il giusto equilibrio, non dimenticando l’imprescindibile legame con la terra: «Qualunque sia il vostro titolo o la vostra estrazione sociale, siate innanzitutto vignerons!» ha chiosato Petrini. Infine, il presidente internazionale di Slow Food ha auspicato per il prossimo anno la partecipazione di tutti i governatori regionali e non soltanto alcuni come quest’anno, poiché soprattutto alcune regioni non possono pensare alla promozione del territorio e dell’offerta turistica prescindendo dal mondo del vino. Stefano Bonilli, storico curatore della guida Vini d’Italia edita da Slow Food insieme al Gambero Rosso, ha fatto il punto sulle ombre che ancora lo caratterizzano. Facendo una ricerca, ha per esempio scoperto che, contrariamente a quanto avviene in Francia, in Italia non esistono dati catastali certi sulla quantità di ettari vitati e sulla loro distribuzione sul territorio nazionale: difficile quindi pensare che si possano attuare delle politiche serie, a favore ad esempio del turismo enogastronomico. L’immenso patrimonio italiano, infatti, ha delle straordinarie potenzialità che non vengono sfruttate come si potrebbe.
Terra Madre, in contemporanea, ha voluto esporre il suo personalissimo enopensiero. Nella sala H dell’Oval questa mattina si è discusso di “sostenibilità totale in vigna e in cantina”. Da una parte il mondo accademico, la ricerca, la scienza, dall’altra i produttori, il lavoro, la pragmaticità. A rappresentare le università sono scesi in campo Carlos Alberto, ricercatore cileno e il Cervim (centro ricerca viticolture di montagna).
Nel Cile centrale, una delle poche zone con clima mediterraneo dell’America latina, il professor Alberto sperimenta la sostenibilità totale in quattro aziende accomunate dagli stessi problemi: l’energia e il guadagno: «I produttori sono spaventati dalla viticoltura sostenibile: poco redditizia in rapporto alla fatica e trovano impossibile rendersi indipendenti dal petrolio» La sfida cilena è quella di creare associazioni di cantine che condividano uomini, mezzi e tecniche, così da ridurre gli sprechi. Lo “spreco” , a detta del Cervim, è praticamente nullo nei 90 000 ettari di vigne eroiche europee, qui il lavoro è quasi completamente manuale, pochi macchinari riescono ad arrampicarsi sui pendii della valtellina o sui terrazzamenti sul mare delle Cinque Terre, il problema allora diventa l’abbandono: l’età media dei viticoltori cresce e mancano idee e risorse per avvicinare i giovani. «Anche il vino segue le logiche del mercato e la sostebinilità è sinonimo di perdita e non di attività da aiutare poichè tutela il patrimonio ambientale»
Nel mondo della viticoltura sostenibile però aleggia un certo ottimismo, influenzato dalla passione e dalla grinta di Bob Lindo dalla Cornovaglia e dei francesi Olivier Cousin e Bernard Bellahsen.Le cantine Lindon applicano la sostenibilità totale in modo puntuglioso: i pali della vigna sono in metallo, così, adifferenza del legno, durano più a lungo e non necessitano trattamenti con solventi inquinanti, i cartoni da imballaggio sono ripiegabili e riutilizzabili, ovviamenti l’energia della cantina è solare. Lindon sembra quasi maniacale: i suoi dipendenti abitano non troppo lontano dalle cantine, così che inquinano meno negli spostamenti e le sue bottiglie sono più leggere delle altre, non appesantendo i camion della distribuzione.
In Francia invece Bernard Bellahsen della Languedoc e Olivier Cousin della Loira hanno deciso di risolvere drasticamente il problema consumi: hanno abbandonato le macchine e son ritornati agli animali. «Abbiamo così creato un ciclo – affermano orgogliosi – gli animali producono forza lavoro, ma anche letame da utilizzare per la concimazione e mangino l’erba che nasce tra i filari. Gli sprechi sono minimi, ma la soddisfazione, anche economica, è tanta».